Sì, il titolo di questo post è proprio quella canzone lì a cui forse hai pensato. Quella canzone che se la canta Fossati ha una morbidezza quasi accogliente, se la canta Bertè ti sembra aver il piglio della ruvidità di chi pensa “un po’ pena, mi fai, mi faccio”.
E niente: la ascolto in loop da qualche tempo, come un po’ tutto il cantautorato italiano. Potrei dire che mi succede quando le cose assumono pieghe rigide, quando diventano vestiti troppo stretti dai quali non so come uscire, quando perdono i colori e assumono i toni del grigio. In questi momenti torno ad ascoltare musica come facevo un tempo. Sembra strano, ma se sono tranquilla, se il buio è poco e la mente è sgombra, non mi serve la musica. La musica mi serve per darmi parole che talvolta non ho o non trovo più.
Potresti chiederti se lo stesso non facciano i libri, vista la mia passione. Eh no, il procedimento è diverso: i libri ci sono sempre, sono una costante del mio tempo e del mio spazio, fanno parte del quotidiano. La musica, oramai, interviene solo a cucire strappi e trovo che sia un ruolo bellissimo, perché dopo il rammendo, esce sempre una lacrima o un sorriso: entrambe le cose sono profondamente salvifiche.
E allora ti volevo dire che “Dedicato” è anche dedicato a te quando dice
A chi ha cercato la maniera
E non l'ha trovata mai
Alla faccia che ho stasera
Dedicato a chi ha paura
E a chi sta nei guai
ma ti dedico anche “Com’è profondo il mare” di Dalla, quando dice
Intanto un mistico, forse un'aviatore
Inventò la commozione
Che rimise d'accordo tutti
I belli con i brutti
Con qualche danno per i brutti
Che si videro consegnare
Un pezzo di specchio
Così da potersi guardare
“I treni a vapore”, sempre di Fossati, quando dice
E mi sogno i sognatori che aspettano la primavera
O qualche altra primavera da aspettare ancora
Fra un bicchiere di neve e un caffè come si deve
Quest'inverno passerà
e poi, perché è Natale alla fine, “La canzone per dormire di Nada”, quando dice
Fammi ancora una carezza
che non sia sempre la stessa
perché io non sono quella
nata sotto una stella
buona chiara come era
nella notte illuminata
quando un bimbo che nasceva
tra la paglia si beava
mamma mamma mamma mamma
Cristo sta meglio di me
Se poi non ti piacciono, non ascoltarle. Le avrai anche tu quelle canzoni che ti parlano, no? Ecco, volevo solo dire che queste (solo alcune di tante) sono le mie seconde voci e ci tenevo a condividerle. L’altra volta ti sei fatt* un’idea di dove pensarmi mentre lavoro, questa volta ti lancio l’immagine di me che, quando cammino per Milano, ho in cuffia queste note qui.
Cose che partono (a gennaio)
Sai che a gennaio ripartono il laboratorio sulla saggistica “Saggio è bene” (con una formula nuova) e il gruppo di lettura “Era meglio il libro (?)”. Lo sai se hai letto il mio precedente post della newsletter e, in caso contrario, puoi farlo qui.
Se ti vuoi iscrivere a “Saggio è bene” dal vivo trovi i biglietti qui altrimenti, se preferisci l’online, puoi scrivermi a sacchi.martina@gmail.com.
Per “Era meglio il libro (?)” non ci sono iscrizioni ma puoi sempre avere maggiori informazioni inviandomi una email all’indirizzo di cui sopra.
Ci sono in serbo altre cosucce, ma non te ne posso già parlare perché necessitano di un’ulteriore revisione. Sappi che, però, sarai in pole position quando avrò tutto il materiale per raccontartele.
Intanto ti avviso che è nata la versione Plus di questa newsletter, una sezione apposita dove caricherò cosiddetti contenuti premium, ovvero a pagamento. Scoprirai perché lo sono: c’è tanto lavoro dietro e un certo impegno orario nel costruirlo. Ti spiegherò più avanti in che modo accedervi, se lo vorrai.
Un libro, un film, una serie tv
Cercando di mantenere una certa coerenza in quello che ti racconto, vorrei consigliarti qualcosa di bello ma che possa anche essere utile a corroborare le tue conoscenze.
Il libro
E allora partiamo dal libro. Da poco è uscito per Neri Pozza L’invenzione del Medio Oriente di Brad Faught, un testo necessario per comprendere le fondamenta sulle quali si regge l’attuale condizione di una delle Regioni più complesse della geopolitica mondiale. Quando si vuole conoscere il contesto di una determinata realtà - e magari prendere posizione - è sempre meglio partire da come quella realtà è nata piuttosto che gettarsi a capofitto nel contingente.
Nel marzo del 1921, a pochi anni dalla fine del primo conflitto mondiale, si apre la Conferenza del Cairo, un consesso di politici, arabisti, militari e membri dell’intelligence britannici, radunato per discutere l’organizzazione degli ex territori dell’Impero Ottomano distrutto, dall’Egitto alla Mezzaluna Fertile. Siamo nel periodo dei famosi mandati istituiti dal Consiglio delle Nazioni all’art. 22 dell’atto costitutivo che prevede, per gli stati usciti vincitori dalla guerra, il controllo su aree che abbiano
«raggiunto uno stadio di sviluppo in cui la loro esistenza come Nazioni indipendenti può essere riconosciuta anche se provvisoriamente soggetta all'assistenza amministrativa di una Potenza Mandataria fino a quando non siano in grado di governarsi da soli».
Un certo paternalismo, nevvero? Non deve sconvolgere la cosa, considerato il momento storico di cui parliamo. Certo è che Churchill e compagnia, durante quel meeting unilaterale, hanno preso decisioni le cui ripercussioni si sono protratte per tutto il XX secolo, per acuirsi ulteriormente nel XXI.
Lascio a te il resto e la voglia di approfondire.
Il film
Il film, invece, è Lee di Ellen Kuras, una biopic sulla fotografa e modella americana Lee Miller, attiva dagli anni ‘20 agli anni ‘50 del XX secolo, interpretata da un’ottima (raro non lo sia) Kate Winslet.
Al netto di qualche svolazzo di sceneggiatura, con episodi ricostruiti un po’ liberamente, la pellicola riesce a trasmettere la peculiarità dell’esistenza di una donna che è stata estremamente indipendente in un tempo in cui non era affatto facile. Miller ha trovato nella fotografia il miglior modo di esprimere se stessa e la propria visione del mondo, andando oltre le convenzioni, sfidando preconcetti, rendendosi autonoma nella narrazione per immagini di un mondo che avrebbe visto disfarsi sotto i suoi occhi. Celebre e controversa è la fotografia che si fece fare immersa nella vasca da bagno dell’appartamento di Monaco di Hitler, dopo la liberazione della città. Altrettanto celebri, tristemente, sono gli scatti che testimoniano la devastazione dei campi di concentramento, anche perché fu la prima donna a immortalarli.
Dovrei parlarti solo del film, ma se ti va puoi capire meglio qualcosa delle sue vite (tante, davvero) leggendo qui e un articolo del New York Times qui.
La serie TV
The defeated è una miniserie Netflix del 2022 e ti chiederai perché non ti propongo qualcosa di più recente. Beh, diciamo che le serie di stampo storico non sempre mi convincono e piuttosto che consigliarti qualcosa di mainstream preferisco risalire un po’ indietro nel tempo e dirti di recuperare questa, principalmente per un motivo: se si prescinde dall’intreccio narrativo, tipicamente thriller, la serie ricostruisce le condizioni drammatiche della Berlino del 1946, ed è un punto di vista che non viene spesso raccontato.
La città è ancora divisa in quattro zone d’influenza - francese, inglese, americana e sovietica -, le macerie sono ovunque, i flussi di ritorno dei tedeschi dalle zone riconquistate al reich sono costanti, il crimine e le violenze sono ingestibili, le forze di polizia sono composte di cittadini semplici, la burocrazia è farraginosa e si sopravvive a razioni limitate di cibo.
Se la cosa ti interessa, c’è un libro che parla dell’ “altra faccia della medaglia” ed è Autunno tedesco di Stig Dagerman, il primo reportage scritto per raccontare proprio come vivessero i tedeschi nell’immediato dopoguerra. Ne ho parlato qui.
La pillola di oggi
Hai presente la locuzione “made in Italy” in relazione alla moda? Sì, scusa, domanda stupida… Ma forse non sai quando si è davvero cominciato a pensare al concetto e chi ne è stata la fautrice più attiva. Siamo a cavallo tra XIX e XX secolo: la moda è dettata dalla Francia e l’Italia ancora arranca per trovare una propria strada in un settore che, comunque, vede già diverse manifatture - o arti applicate - all’opera.


Una voce più forte, tra altre, si solleva per sottolineare la qualità del lavoro di molte delle donne che già rendono eccellenza la sartoria italiana. La voce è quella di Rosa Genoni, prima apprendista a Parigi, poi creatrice di modelli che passeranno alla storia come la prima espressione di uno stile nazionale in rapida crescita. Genoni è socialista, attiva su diverse riviste che hanno cara la questione femminile, legata ad Anna Kuliscioff - eminente esponente delle rivendicazioni sui diritti alle donne -, autrice del libro La storia della moda italiana: dalla preistoria ai tempi odierni, all’epoca il primo testo del genere, dirigente e docente di corsi di sartoria e storia del costume presso la Società Umanitaria di Milano.
Dal punto di vista prettamente stilistico, Genoni tenta - riuscendovi - l’emancipazione dal giogo francese, attingendo a piene mani dall’arte italiana. Genoni è stata per lungo tempo la cosiddetta première dell’atelier Haardt ma la sua autonomia, non sempre ben vista, la rende quella che oggi chiameremmo fashion designer e non mera esecutrice di progetti anonimi. Infatti, tra i suoi modelli più famosi ricoprono un’importanza determinante quelli portati in scena all’Esposizione Universale di Milano sulle arti decorative del 1906. La creatività che la contraddistingue la porta a richiamare il Rinascimento, con vestiti che ricordano la Primavera del Botticelli, il Ritratto di Giovanna Tornabuoni del Ghirlandaio o il San Giorgio del Mantegna. La sua, però, sarà una costante evoluzione anche per cercare quanto di meglio possa accompagnare il corpo femminile anche in termini di comodità.
Ora, se ti va, ascolta le parole della stessa Rosa Genoni tratte da Per una moda italiana in “Vita femminile italiana” (1908) e poi in “La rivista femminile” (1918).
Qualora volessi approfondire la storia di Rosa Genoni o della nascita della moda italiana, per ora ti consiglio due libri: il primo, Rosa Genoni di Manuela Soldi, è un testo abbastanza tecnico ma molto esaustivo per apprezzare la vita della designer e attivista, con un comparto grafico meraviglioso; il secondo, Crear sé stessa, da poco uscito per Rina edizioni, raccoglie invece gli scritti di moda delle più prolifiche autrici e giornaliste a cavallo tra ‘800 e ‘900 ed è un oggetto editoriale di grandissimo pregio anche per la ricerca che lo ha portato alla luce.
Bene, per questa volta a posto così… Ah, giusto, due cose su di me, magari.
Sono nata a Milano, vivo nel quartiere Giambellino con Gerardo, non ho ancora un cane, ma ho delle piante in vita che mi sorprendono. Insegno materie umanistiche e italiano per stranieri. Ho una pagina Instagram che parla solo di libri. Sono un amante del vino, delle serie tv, della non fiction, della Clarks e delle Birkenstock. Mi lavo i capelli tutti i giorni e non sono rovinati, grazie.